LE BARCHE PINGISANTE…alla catanese

Gli scafi erano funzionali al tipo di “mestiere” che si esercitava, pertanto veniva spontaneo e più immediato identificarli col nome del pesce catturato o dell’attrezzo utilizzato: “sardare”, “cozzolare”, “conzare”, “nassarole”, “fiocinare” erano le tipologie navali del Golfo di Catania le cui acque abbondavano di pesce. Queste barche erano tanto diverse dalle consorelle del resto della Sicilia, per la singolarità delle linee e, soprattutto, dei colori, che gli studiosi le hanno, scientemente, aggettivate “alla catanese”.
Chi le costruiva era il “mastro d’ascia”, artigiano del legno di profondo ingegno e spiccato senso pratico, che applicava un’arcaica tecnica empirica detta del “mezzo garbo”, tramandata oralmente da padre in figlio. Il mezzo garbo era una sagoma di legno che riproduceva, a grandezza naturale, la mezza sezione maestra dello scafo dalla quale si principiava per realizzare le ordinate che, assieme alla chiglia e alle ruote di prua e di poppa, costituivano l’ossatura della barca.
Gli spostamenti delle barche, non ancora motorizzate, avvenivano a remi e a vela. Il “mastro velaio” si faceva carico del taglio delle vele che cuciva a mano assemblando “ferzi” di cotone. La superficie veniva calcolata in relazione al fattore di potenza della barca ed in funzione delle possibili condizioni di vento. Erano grandi e leggere per le brezze, piccole e pesanti per il forte vento di burrasca. La forma era triangolare.
Le barche “alla catanese” finiscono di operare agli inizi degli anni ’60 del secolo scorso per il sopraggiungere dei grossi e potenti motopescherecci…con esse tramonta una civiltà marinara.
Presented by Romano Pisciotti
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