Antichi mestieri

“Donne! E’ arrivato l’arrotinooooo!” Quante volte l’avrete sentito? Questo strillo è ormai entrato a far parte della tradizione culturale siciliana e rappresenta una piccolissima sfumatura del mondo degli antichi mestieri che affondano le radici nella storia della Trinacria e che probabilmente non spariranno mai. L’arrotino, infatti, insieme a “lu varveri”, “‘u stigghiolaro”, “’u puparo”, l’“alivaru” sono solo alcune delle tantissime (e purtroppo in alcuni casi anche sconosciute) professioni che hanno lasciato un segno molto profondo nella storia della Sicilia.
Il mestiere di cannabusari in provincia di Siracusa
Pochi oggi sanno cos’è il cannavu, e i suoi derivati, cioè la cannabusa o la cannabusata. Ma non è colpa loro.
In effetti questo particolare seme fu tolto dalle nostre tavole e dai nostri consumi per due ordini di fattori: economico-commerciali e sanitari.
Il fattore sanitario era vecchio: una polemica contro i suoi effetti sulla salute. Il primo interviene subito dopo l’Unità d’Italia, ed attiene alla crisi in cui caddero le produzioni manifatturiere ed agricole meridionali a causa della concorrenza dei prodotti del Nord Italia.
Quello che non troveremo più, oggi, sicuramente, è il venditore di càntari o cantri che dir si voglia, i vasi da notte di terracotta che tanti anni fa sostituivano i nostri servizi igienici.
“il salinaru”, colui che raccoglieva il sale formatosi nelle saline.
Acqua da tenere da conto, dunque, da conservare nei recipienti venduti dal bummularu, bummuli di terracotta dai quali bere direttamente, senza bicchieri, il prezioso liquido che dentro si manteneva fresco.
Presentato da Romano Pisciotti
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